mercoledì 30 gennaio 2013

PARLIAMO DI BIDELLI E BIDELLE, NON DI PARLAMENTARI



L’altro giorno, a Roma, una insegnante ha detto:
Sono venticinque anni che insegno, da dieci sono di ruolo. Prendo 1.200 €uro al mese, quanto quello che prende un bidello.
Un tale che lavorava con me è diventato deputato, eppure, all’atto della sua nomina, ho sentito dire:
Capirai, faceva il bidello!.
Come se uno che è o è stato un bidello non potesse andare in Parlamento: perché sono tanti ad avercela con i bidelli?
Una prima risposta può essere data da quello che mi è accaduto in prima elementare.
La maestra ci aveva detto, proprio nei primi giorni di scuola, che ogni qual volta una persona adulta entrava in classe, noi dovevamo alzarci in piedi, per rispetto.
Dopo due o tre prove, quell’insegnante dovette ritenere che avevamo capito, ma le cose non stavano esattamente così, nel senso che noi avevamo compreso quello che c’era da fare, ma non lei.
Il fatto è che, poco dopo, entrò in classe il mitico bidello Marino, e noi tutti ci alzammo in piedi.
A quel punto la maestra ci disse:
No! quando entra un bidello non vi dovete alzare in piedi.
Era forse giusto non alzarsi in piedi se entrava in classe il bidello?
E perché quell’insegnante ne invidiava il lauto stipendio, per non parlare poi dello scandalo avvenuto con l’elezione a parlamentare di uno di loro, sia pure ex?
Ma la più grande ingiustizia che i bidelli hanno avuto è partita dallo Stato, che ha definito questa importante categoria di persone che opera nella scuola quale personale non docente, identificando una tale categoria di persone addirittura con la negazione di un’altra professionalità, caso più unico che raro.
Qualcuno si è accorto della stramberia, e allora al personale non docente si è sostituito il termine ATA, che significa amministrativo tecnico ausiliario, ma l’umiliazione resta.
Io credo addirittura che, prima di creare il personale non docente, qualcuno deve aver pensato di sostituire la o con la e, creando il personale non decente.
Ma alla fine quel qualcuno deve essersi ricreduto, temendo che forse il personale non decente, a seguito di un eccesso di umiliazione, avrebbe potuto anche ribellarsi, come era già accaduto con Spartaco e i gladiatori.  
Tutto questo livore per i bidelli, più che sproporzionato, appartiene ad un pensiero feudale, nel senso che può trovare un qualche riferimento con la società tipica del feudalesimo, che si distingueva in signori, vassalli, valvassori, valvassini e servi della gleba.
Ecco, appunto, a qualcuno piace vedere i bidelli sotto la luce dei servi, che devono solo obbedire e star zitti.
Questa è una considerazione scellerata, perché i bidelli fanno parte a pieno titolo del personale che gestisce il sistema educativo dei nostri figli.
A meno che qualcuno possa pensare che, in un momento di crisi del sistema educativo italiano, una guerra del genere possa essere vinta col solo impiego dei generali: per carità, io non voglio sminuire il ruolo dei docenti, ci mancherebbe altro, ma una critica devo farla.
Senza voler scomodare il noto discorso della montagna di Menenio Agrippa, che, di fronte a quella che oggi potremmo definire la prima volta dell’antipolitica, ebbe a dire che a tutti conviene fare il proprio compito, non dobbiamo considerare i bidelli un corpo estraneo.
I nostri figli, fin dalla più tenera età, hanno a che fare con queste persone, in particolar modo con le bidelle, perché un altro grosso problema della scuola italiana è che ormai non c’è più personale maschile.
Io sono convinto che tanti casi di disperazione conseguenti al deprecabile fenomeno del bullismo potrebbero essere evitati da una buona parola, da una minima dose di buon senso, cose che possono essere poste in essere da quelle persone umili che sono i bidelli e le bidelle.
Ma, prima di congedarmi, volevo dire qualcosa su un film che ho visto tanti anni fa e che, forse, è l’unico del genere sui bidelli: Mio figlio professore.
E’ la storia di un bidello rimasto vedovo a seguito della nascita del figlio, che spera che questi diventi professore.
Ma anche qui la storia è ingrata col povero bidello, in quanto il figlio respinge con fastidio le attenzioni paterne, forse perché partono da un esponente di quella che lui reputa una categoria inferiore.
Anche qui la storia si ripete, all’infinito, come fosse una maledizione.
La maledizione della povera gente.

A risentirci
Massimo Cortese