Ancona
31 luglio 2014 Ore 17.30. Sala Consiliare della Seconda Circoscrizione di via
Scrima 19.
DISCORSO
DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO “L’ULTIMO NATALE DELLE PROVINCE”.
Grazie
per la vostra partecipazione, Grazie per la vostra presenza, grazie per la
vostra passione.
Finalmente siamo arrivati alla
presentazione del mio libro “ L’ultimo Natale delle Province”. Vi svelo subito
un segreto. Quando, nel mese di febbraio, ho avuto la certezza che il mio libro
sarebbe stato pubblicato, avevo un desiderio, che era quello di non essere
l’unico ad aver scritto un libro sulle Province.
Sono stato esaudito.
Infatti, dal 29 maggio il mio libro è
stato preceduto dalla pubblicazione di un altro testo, anche se il titolo
scelto dalla giornalista Silvia Paterlini, proveniente dall’Ufficio Stampa
della Provincia di Milano, “ Goodbye Province” appunto, è per molti versi
simile. Vi assicuro che non ci siamo messi d’accordo, ma è chiaro che
l’atmosfera condivisa è la medesima, mesta. Per questa ragione, intendo
iniziare questa mia presentazione dell’Ultimo Natale delle Province, comunicandovi la recensione che ho fatto di
Goodbye Province, che ho sempre appoggiato, ancor prima che venisse pubblicato,
il 29 maggio 2014 appunto, il giorno prima del mio compleanno.
Se qualcuno volesse prendere appunti,
dico subito che la mia recensione è stata pubblicata, sebbene in forma ridotta,
in quanto era troppo lunga, da Feltrinelli online. Sono stato io ad operare la
riduzione. Ecco la recensione:
Il libro è stato scritto dalla giornalista Silvia
Paterlini, proveniente dall’Ufficio Stampa della Provincia di Milano. Il testo
si compone di due parti: la prima affronta in cento quesiti i punti più
controversi che hanno dato vita alla delegittimazione delle Province, mentre la
seconda è costituita da sei interviste.
Lo stesso
sottotitolo del testo, “Miti e retorica dell’abolizione in 100 luoghi
comuni”, chiarisce come finalità del
testo sia la difesa delle Province. Si pone quindi il primo problema: ma era
necessario scrivere un libro in difesa delle Amministrazioni Provinciali? A mio
avviso, la risposta è positiva per due ragioni fondamentali: 1) nel dibattito,
le Province non hanno avuto una copertura mediatica eguale a quella di coloro
ne hanno promosso l’abolizione, anzi sono state spesso ignorate e derise; 2)
l’abolizione delle elezioni provinciali dirette da parte del Corpo elettorale,
avvenuta in modo differenziato, ha creato un evidente problema di mancato
rispetto del principio di uguaglianza fra i cittadini. Ancora oggi, vi sono
Province dotate di Consigli e Giunte, mentre nella maggior parte delle
Amministrazioni Provinciali vi è un Commissario non retribuito, come se fossero
figli di un dio minore. Non è la prima volta che nel nostro Ordinamento
Giuridico i Componenti delle Amministrazioni locali non vengano scelti dal
Corpo elettorale mediante libere elezioni, ma quando ciò è avvenuto nel 1926,
vigeva lo Statuto Albertino, che era una Carta flessibile, mentre oggi è
vigente la Costituzione
repubblicana, caratterizzata dalla rigidità.
Ad ogni quesito viene garantito un certo contraddittorio,
nel senso che vengono elencati, sia pure sommariamente – e non poteva essere
diversamente, dato l’intento divulgativo del libro – i punti di vista dell’una
e dell’altra parte.
Il messaggio di “Goodbye Province” è subito sintetizzato
nell’Introduzione: “ Questo libro è una sfida, una provocazione a un Paese che
non vuole approfondire e si alimenta di falsi miti e mezze verità”. Ed ancora:
“Le pagine che seguono riassumono quattro anni di lavoro per il Consiglio della
Provincia di Milano”: quindi, il testo prende le difese di questa Antica
Istituzione, è di parte, ma questo suo modo di essere è giustificato pienamente
dal clima pesantemente discriminatorio cui sono state sottoposte le Province,
intese quali oggetti sacrificali di una Classe Politica che, fino a qualche
tempo prima, se ne era servita a piene mani, se è vero, come è stato scritto a
pagina 19 del libro, che tra gli anni 2001 e 2006 sono state presentate 38
proposte di legge per l’istituzione di nuove Province, salite addirittura a 46.
Un tale bizzarro comportamento meritava un approfondimento, anche al costo di
apparire impopolare e anacronistico.
In estrema sintesi, la giornalista Silvia Paterlini ha
fatto un lavoro necessario, che colma un vergognoso vuoto che altri avrebbero
dovuto fare. La pubblicazione di questo libro, a distanza del breve lasso di tempo
dalle elezioni dei nuovi Consigli Provinciali e delle Città Metropolitane, è un
lodevole contributo per il Legislatore che dovrà riformare il Titolo V della
Costituzione e gestire il trapasso da quelle che erano le Province a quelle che
saranno domani.
Vi è una parola ripetuta più volte nel testo: autocritica.
Traspare infatti in “Goodbye Province”, la consapevolezza che le Province
richiedano qualche cambiamento: è un discorso onesto, giustificato dalla
necessità per il Sistema Paese di poter contare sul giusto peso da riconoscere
alle realtà territoriali.
Massimo Cortese
Goodbye Province è un testo importante, è stato presentato
il 1° luglio a Milano alla presenza di persone note, come il Governatore
lombardo onorevole Roberto Maroni e il segretario regionale del Partito
Democratico Alessandro Alfieri: lo stesso libro contiene sei interviste a
persone note, come il professor Valerio Onida ed il giornalista Vittorio
Feltri. Inoltre sono contento che ad averlo scritto sia stata una donna,
perché, nonostante che in Politica siano presenti soprattutto gli uomini, sono
molte le amministratrici e le presidenti delle Amministrazioni Provinciali.
Senz’altro, sono molto più combattive dei signori uomini: la mia è una
constatazione. A questo punto, passerei a parlare del mio libro “L’ultimo
Natale delle Province”.
La presentazione del libro si
articola in quattro punti fondamentali, che sono rispettivamente:
1) L’individuazione di una parola
che possa riassumere il testo;
2) La motivazione che mi ha spinto
a scrivere il testo;
3) L’omaggio alle persone che hanno
partecipato all’elezione dell’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946;
4) Il libro inteso quale
testimonianza storica.
Esaminiamo il
primo punto:
1)
l’individuazione di una parola che possa riassumere il testo.
Torniamo per un attimo all’età
infantile.
Ricordiamoci di quando, a seguito
di una marachella, la mamma o chi per lei, nel rimproverarci per il nostro
capriccio, ci dava una sculacciata: in quel momento, accompagnato all’inevitabile
pianto, emettevamo il nostro disappunto, pronunciando una parolina equivalente
ad un grido di dolore: Ahi. La
stessa cosa poteva capitare quando, nell’aprire il rubinetto dell’acqua,
sbagliamo manopola, e ci scottavamo con l’acqua bollente, anziché quella fresca
che avrebbe placato la momentanea sete.
Recentemente, mi trovavo in Romagna, il Direttore di una Radio locale,
al quale avevo preannunciato che, nel mese di giugno, sarebbe stato pubblicato
il mio libro “L’ultimo Natale delle Province”, mi ha chiesto di dirgli una
parola che potesse riassumere l’intero libro. Allora ho cominciato a pensare a
qualche parola, Rabbia, Delusione, Incredibile, Sbigottimento,
Incredulità, ma poi ho concluso che non
vi sono parole adeguate per esprimere il libro e l’intera vicenda che lo ha
motivato. Poi, però, mi son ricreduto: una parola ci sarebbe, è un po’ strana,
forse per qualcuno non è neppure una parola vera e propria, essendo un grido di
dolore, ed è ahi, alla quale ho
accennato prima ricordando l’infanzia. In un noto dizionario della Lingua
Italiana, il termine ahi viene così identificato: si usa per chi esprime un
dolore fisico o spirituale, contrarietà, preoccupazione, indignazione.
Addirittura, qualche dizionario, per farmi un dispetto o per farmi sentire più
importante, arriva a citare la famosa espressione riportata nella Divina
Commedia, quanto al Canto VI del Purgatorio, il Sommo Poeta dice, ai versi
76-78:
Ai serva Italia, di dolore
ostello,
nave sanza nocchier in gran
tempesta
non donna di province, ma
bordello.
Ma non vi fa riflettere il fatto
che Dante menzioni la parola Provincie? Per carità, Dante si riferisce alle
Province diversamente da quelle che intendiamo oggi, e sono stato avvertito
sulla non opportunità di commentare il
passo. Ma il fatto che il passo di Dante, nel parlare delle Provincie, emetta
il mio stesso grido di dolore, da una parte mi onora, dà valore aggiunto alla
nostra condizione di dipendente provinciale, ma al tempo stesso mi preoccupa e
mi fa riflettere. Da autorevolissime fonti è stato detto che bisogna eliminare
la parola Province dalla Costituzione: penso che si possa fare, con gli
strumenti previsti. Però, lasciatemelo dire, il termine Provincie e soprattutto
il nostro grido di dolore non potranno essere cancellati dalla Divina Commedia,
che è la Carta Costituzionale della nostra Identità Culturale.
2) La motivazione che mi ha spinto a scrivere il testo.
Per quali motivi ho scritto
questo libro? Innanzitutto perché sono un dipendente provinciale, vivo questa
situazione di incertezza e di confusione, che ormai da almeno tre anni è lo
scenario di riferimento di coloro che sono legati a vario titolo con le
Province, ma per comprendere bene la motivazione che mi ha spinto a scrivere il
libro, debbo necessariamente leggervi L’introduzione del testo. Premetto che
avevo già scritto altri tre libri, genere Narrativa Impegno sociale. Il primo
testo s’intitola Candidato al Consiglio d’Istituto” ed ha come tema
l’educazione, con una appendice sul bullismo scolastico. Il secondo libro
s’intitola “Non dobbiamo perderci d’animo” ed è una raccolta di dieci racconti
sull’Italia degli ultimi 150 anni. Il terzo libro si intitola “Un’opera
dalle molte pretese” si occupa del rapporto del cittadino con le
Istituzioni, in particolare con la Politica e la Giustizia. Passo a leggere
l’Introduzione del libro “L’ultimo
Natale delle Province”:
INTRODUZIONE
Dopo la conclusione della Trilogia
della Speranza, articolata nei libri pubblicati tra il 2009 e il 2011, non
sapevo se avrei continuato a scrivere. D’altra parte, in quel “Poi si vedrà”,
presente nella quarta di copertina di “Un’opera dalle molte pretese”, lasciavo
intravedere la possibilità di concludere la mia avventura letteraria.
Poi è accaduto un fatto, che è
appunto narrato ne “L’ultimo Natale delle Province”. Improvvisamente, la
passione civile si è risvegliata e il desiderio di scrivere è tornato a farsi
sentire, prepotente. La paventata abolizione delle Province si è trasformata,
da impedimento psicologico nel continuare a scrivere, nella motivazione ideale
a raccontare: debbo dire con una certa emozione che sono molto soddisfatto
dell’opera che ne è scaturita. Si tratta di un racconto lungo in presa diretta,
affiancato da due racconti ispirati a reali momenti di Storia, quali la Seconda
Guerra Mondiale e il recente Anniversario dell’Unità Nazionale.
Mi sono reso conto che i libri
della Trilogia della Speranza, strettamente collegati tra loro, contenevano
degli elementi che sono alla base dell’ultimo scritto, e questa considerazione
non mi pare di poco conto. Temi come quello dell’educazione – che è il motivo
ispiratore di “Candidato al Consiglio d’Istituto” – della speranza, presente
nei racconti di “Non dobbiamo perderci d’animo” e della crisi della politica –
si veda “Un’opera dalle molte pretese” – sono propedeutici a “L’ultimo Natale
delle Province”.
Come i tre scritti precedenti, anche questo è
dedicato al Paese che, dall’inizio della recente crisi economica, si trova a
dover fare i conti con uno stato di angoscia che condiziona l’esistenza di
molte persone.
Quindi io ho scritto questo libro
vivendo la mia condizione di dipendente provinciale. Questa condizione è
condivisa dagli altri colleghi, come mi è stato detto da alcuni ai quali ho
fatto conoscere il mio modesto pensiero.
3) L’omaggio alle persone che hanno partecipato all’elezione del 2
giugno 1946.
A poco a poco, occupandomi delle
Province, che ancora fanno parte della Costituzione, mi è venuto il desiderio
di scrivere un testo sulla Carta Costituzionale. Per questa ragione, la scelta
della fotografia della copertina è caduta su un fatto accaduto in occasione
delle elezioni del 2 giugno 1946, precisamente una fila di persone che si
recano a votare nella provincia di Agrigento. Vediamo le donne da una parte,
gli uomini dall’altra, come accadeva all’epoca anche a scuola, al cinema, in
chiesa. Donne e uomini sono divisi dal carabiniere che sorride divertito. In
definitiva, io ritengo che la Costituzione del 1948, con le sue Istituzioni, ha
tenuto unito questo Paese, dal dopoguerra ad oggi, perché questo documento è
all’origine dello lo sviluppo e la crescita di questo paese, da arretrato a Paese
chiave per l’Unione Europea. Non dobbiamo dimenticare queste persone, magari
molte saranno state sicuramente analfabete, ma avevano una consapevolezza del
concetto di Bene Comune, emblema di un’Italia solidale che spesso di intravede
solo nei vecchi film del neorealismo e del dopoguerra.
4)
Il libro inteso quale testimonianza storica.
Veniamo ora al quarto punto,
probabilmente il più importante, che volutamente non approfondisco, perché la
storia non termina qui questa sera. Questo libro è la testimonianza di una
storia. Vedete, io non sono il rappresentante delle Province, sono uno che
racconta delle storie. Proprio la vicenda delle Province mi ha incuriosito,
perché si trattava di narrare la storia di un lavoratore che si trova
ingabbiato in tutta una serie di eventi imprevisti che lo scuotono. Come già è
accaduto negli altri tre miei scritti, soprattutto nel terzo, si tratta di una
testimonianza storica che riguarda il Paese, nel senso che ho desiderato
fotografare l’Italia che cambia.
Non so se ci sono riuscito: da
parte mia, ho cercato di fare le cose al meglio.
Sull’esito, poi, giudicheranno i
lettori, nella speranza che ve ne siano.
Un’ultima osservazione: questo
non è un libro contro qualcosa o qualcuno, ma è un contributo a raccontare una
storia di oggi, che probabilmente non sarebbe mai stata scritta. Per questa
ragione ho pensato di scriverla.
Grazie.
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